L'avaro - 1 dicembre- Alessandria - recensione

Tante le versioni dell’Avaro, sempre più o meno fedeli o attualizzate, ma il cui tema centrale rimane la ritorsione del protagonista sul denaro, perversione che accentra tutta la sua vita e i suoi affetti.

La scelta di regia di Laura Bombonato (sua anche la traduzione del testo) presenta una scena priva di oggetti, dove si susseguono rapidamente i dialoghi e dove la vicenda si dipana in tutti i suoi intrighi e malintesi per due ore di ritmo incalzante. Il denaro nominato si misura in euro, gli abiti sono contemporanei. Elisa (figlia di Arpagone, interpretata da Daniela Di Carlo) e Mariana (la brava Claudia Chiodi, fanciulla bramata dall’avaro e amata dal di lui figlio) indossano identici abiti corti e attillati, verde la prima e rosso la seconda.   Rappresentano due facce dello stesso desiderio di libertà e di amore, oppresso dagli interessi più biechi e più lontani dalla spontaneità.
Daniela Tusa è un Arpagone privo di ogni sensibilità e tenerezza filiale, ottuso al punto di ascoltare solo la piaggeria di coloro che tentano di raggirarlo. Sul suo volto (reso mascolino da una splendida mimica facciale, prima ancora che da un trucco sapiente) si riflettono tutte le parole degli interlocutori sotto forma di terrore di un ipotetico furto e di compiacimento di fronte all’adulazione.
L’attenzione è volta sempre alle sue reazioni, gestuali e tradotte in parola, e i dialoghi tra lui e Valerio (Marco Ferrari), che con l’astuzia intende sposare l’amata Elisa, o tra lui e il figlio Cleante (Gianluca Barbieri), sono densi di una vis comica che travalica il tempo e pare nuova e spontanea.
Ogni precauzione contro il raggiro si concentra sul denaro, in campo affettivo le blandizie della mezzana Frosina, che lo convince di poter essere desiderato da Mariana, giovane, bella e innamorata in realtà di Cleante, vengono credute e sortiscono un effetto comico ottimamente esasperato dalla sfrontatezza della brillante Elisabetta Puppo.
Il testo segue il suo corso fedelmente, reso scorrevole da spunti attuali (come la descrizione disgustata dell’abbigliamento dei giovani odierni) e, soprattutto, da una regia rapida, che fa dei dialoghi serrati, al netto di ogni elemento ulteriore, il percorso verso un finale che, pur ben conosciuto, ancora sorprende.
Tutto converge verso il trionfo del “dio che ha in sé il perdono di ciò che ci fa compiere”. Valerio pronuncia, in un dialogo esilarante, laddove Arpagone non comprende sino alla fine che il sentimento non può e non deve essere indirizzato al denaro, la ragione delle azioni di tutti coloro che ruotano intorno al protagonista e che impersonano la forza della vita che contrasta l’avidità mortifera.

Il numeroso cast e la regia si dimostrano all’altezza di un testo che si rivitalizza ad ogni istante grazie, in modo particolare, alla bravura dei protagonisti che ruotano intorno alla personalità dominante dell’avaro, una Daniela Tusa strepitosa e convincente che domina la scena dall’inizio alla fine.

Bello spettacolo, capace di rendere attuale un classico di sempre e di mostrarne la comicità e il valore senza tempo. 
Nicoletta Cavanna

POST RECENTI